Grazia Inchiesta

August 3, 2015

By Maria Teresa Cometto

C ’è un garbuglio giuridico lungo la strada di una coppia sterile che cerca di diventare una famiglia con figli. Ed è quello che riguarda la maternità surrogata, cioè il ricorso a un cosiddetto “utero in affitto”, una pratica ancora vietata in Italia. Anche se qualcosa si sta muovendo. Di recente una coppia di Milano, rientrata dall’Ucraina con due gemelli nati con maternità surrogata, è stata assolta dall’accusa d’aver commesso il reato di “alterazione di stato”, ovvero falsa dichiarazione su chi sono i veri genitori. «La genitorialità non è solo quella di derivazione biologica», hanno detto i magistrati. Risultato: l’atto di nascita dei bimbi è stato trascritto nel nostro Paese anche se non è stata la loro madre a partorirli. Copione già visto, sempre in questo 2015, nei tribunali di Monza e Pisa.

Tutti contenti? No. La sentenza ha diviso opinione pubblica e media. Il quotidiano cattolico Avvenire hadefinito la motivazione “giuridicamente discutibile ed eticamente inquietante”. E tanti aspiranti genitori non sanno come muoversi dato che il ricorso alla maternità surrogata può aiutare diverse famiglie: si parla di “surroga tradizionale”, quando la madre portatrice mette utero e ovociti, e di “surroga gestazionale”, quando la portatrice riceve gli ovociti dalla madre legale o da un’altra donna.

L’utero in affitto in Italia è proibito dalla legge 40/2004, che vieta la fecondazione eterologa e che ora è stata giudicata incostituzionale. «I Paesi dove questo tipo di maternità è legale sono Stati Uniti, Canada, Russia, Ucraina, Grecia, Inghilterra. I costi? Dai 30 ai 70 mila euro dei Paesi più poveri, ai 120 mila degli Stati Uniti», dice l’avvocata Susanna Lollini, dello studio Menzione-Lollini che ha assistito i genitori di Milano assolti dall’ultima sentenza. «Ma i problemi arrivano al rimpatrio. Perché il consolatoitaliano nel Paese straniero segnala alla procura di riferimento l’imminente arrivo della nuova famiglia. Che, appena atterra sul suolo di casa viene convocata per un primo interrogatorio, e infine sottoposta a processo. È ora che sulla maternità surrogata si approdi a una normativa ben definita, possibilmente laica. Ma nessun partito se ne fa carico».

Non solo: l’esiguità del fenomeno non attira l’attenzione. Le coppie che puntano ad affittare un utero sono ancora poche. Soprattutto, essendo “illegali”, tendono a non dichiararsi: ecco perché non ci sono dati su di loro. Nel 2011 l’Osservatorio del Turismo Procreativo ha fatto un’indagine su 33 centri stranieri frequentati da italiani con problemi di fertilità. «Quell’anno sono state 32 le coppie espatriate cercando madri surrogate, ma si tratta di un dato sottostimato», dice il ginecologo Andrea Borini, presidente dell’Osservatorio e responsabile scientifico dei Centri Tecnobios Procreazione. «Ci sono donne che, per motivi di salute, non possono procreare, e allora ricorrono alla prestazione di un’altra donna, come succedeva quando, in passato, si chiedeva a una balia di allattare bimbi non suoi. La gestazione per terzi non è schiavitù se le cose sono regolamentate, alla luce del sole, da contratti che tutelano i diritti di entrambe le parti».

Questo è il nodo, tutto etico, che divide favorevoli e contrari. Si può togliere un bimbo a chi l’ha avuto in pancia senza compiere un atto di sfruttamento? E se la portatrice ci ripensa, può tenere il neonato? Per alcuni è possibile fare leggi che proteggano i diritti di tutti. Per altri no. Perché «succederà sempre, in certi Paesi, penso al Nepal o all’India, che le madri surrogate, poco consapevoli dei loro diritti e poco protette dai loro Stati, possano firmare contratticapestro», dice Assuntina Morresi, membro del Consiglio Nazionale di Bioetica. «Alcune vengono allontanate nove mesi dai loro figli e ospitate in ostelli. S’impegnano a non fare lavori rischiosi. Ad abortire nel caso si tratti di gemelli. Se disobbediscono, devono restituire i soldi e tenersi il bimbo. È o non è una forma di schiavitù questa?».

È uno scontro di diritti. Da un lato, le coppie per cui, come ha detto la Corte costituzionale pronunciandosi sulla legge 40, “la scelta di diventare genitori e formare una famiglia che abbia anche figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi”. Dall’altro, il diritto delle madri surrogate che vivono in realtà disagiate a essere trattate da esseri umani. In mezzo, un terreno da seminare con leggi eque, che ancora stanno aspettando. N

Q uando i genitori vengono a farmi vedere il loro bimbo, la gioia che vedo nei loro occhi mi ripaga di tutta la fatica della gravidanza. Sono felicissima e torno a casa contenta». Devon Cravener, 38 anni, è una mamma surrogata, cioè una donna che ha accettato di tenere in grembo il figlio di un’altra coppia. Una pratica che in Italia è vietata anche se, nei giorni scorsi, il Tribunale di Milano ha assolto una coppia che aveva “affittato un utero” in Ucraina. Devon vive con il marito Kris e la loro figlia Trinniti, 10 anni, a Readings, in Pennsylvania, uno degli Stati americani – insieme con California, Ohio e Illinois – dove il ricorso a mamme surrogate è ammesso, anche a pagamento. «Abbiamo aiutato molte coppie italiane», mi dice Melissa Brisman, la fondatrice di Reproductive Possibilities, l’organizzazione attraverso cui Devon è diventata mamma per conto terzi. Uno dei punti forti di Brisman, un’avvocatessa, è preparare tutti i documenti molto in anticipo perché, sul certificato di nascita del bebè, figurino subito i genitori che hanno commissionato la gravidanza. Devon non ha mai avuto problemi con le coppie per cui ha fatto la “portatrice della gestazione”, che è il termine corretto per definire il suo ruolo, dato che seme e uova appartengono agli aspiranti genitori. «Io non sono la madre biologica di nessuno», dice, «e infatti i bambini assomigliano sempre ai genitori che li hanno voluti». Eppure, le chiedo, sentirli nella pancia per nove mesi non ti lega visceralmente a loro? «No, non sono miei», risponde convinta Devon. «Io ho avuto due figli, Trinniti e Gabriel, che purtroppo è morto di cancro a quattro anni. Se faccio la mamma surrogata, è proprio per lui: averlo perso mi ha fatto capire davvero che cosa vuol dire essere mamma. Nessun altro bimbo può sostituirlo, ma io posso dare a un’altra donna il dono della maternità». L’ha fatto per quattro volte e sta pensando di farlo una quinta. Ma non è un mestiere, sottolinea Devon, anche se viene compensata dai 25 ai 55 mila euro per gravidanza, oltre alla copertura delle spese mediche. «Ma non è il mio lavoro», conclude, «solo soldi extra che metto da parte per quando Trinniti andrà al college». (Maria Teresa Cometto)